La scomparsa di Catherine

La nebbia avvolge la campagna inglese come un sudario. La strada per Villa Pembroke serpeggia tra alberi contorti, i cui rami nudi sfiorano il selciato come dita spettrali in cerca di qualcosa che non c’è più. Quando oltrepassate il cancello di ferro, la dimora appare imponente e silenziosa, le finestre illuminate da una luce fioca.

Lord Henry Pembroke vi accoglie sulla soglia, la figura alta proiettata contro la luce calda del vestibolo. I capelli grigi e lo sguardo stanco raccontano notti insonni. «Vi ringrazio per essere venuti» dice, stringendosi nel mantello come se volesse proteggersi non dal freddo, ma da un pensiero troppo pesante «mia nipote, Catherine, è scomparsa tre notti fa. Tutti nella casa sono sconvolti.»

Entrate nella villa. L’aria è densa di cera e di fumo di legna, e un grande orologio al centro del corridoio scandisce l’ora con un battito lento, quasi umano. Ogni stanza sembra osservare in silenzio il vostro passaggio.

Vi vengono presentati gli abitanti della casa: Lady Amelia Ashcroft, amica intima della giovane Catherine; George Whitmore, il maggiordomo, impeccabile e misurato nei gesti; Edith Crawley, la cameriera, che abbassa lo sguardo ogni volta che qualcuno le rivolge la parola; e infine i due imbianchini, Peter e Paul Vectors, che da giorni lavorano al restauro delle sale. Nel giardino, il vecchio Thomas Hale, giardiniere di fiducia, si muove lento tra le siepi immerse nella bruma.

Lord Pembroke vi conduce nella biblioteca. «Questo è il luogo dove Catherine è stata vista l’ultima volta. Era solita passare giornate intere in questa stanza, sempre immersa nei suoi pensieri e nei suoi libri...» le parole gli si spezzano in gola. Gli offrite un incoraggiamento silenzioso, poi lasciate correre lo sguardo tra scaffali e ombre: è giunto il momento di decidere da dove cominciare.